Quando è necessaria la partita IVA per un’associazione?

Uno dei dubbi più ricorrenti quando si costituisce una nuova associazione, che sia un’associazione sportiva dilettantistica (ASD), associazioni di promozione sociale (APS), organizzazioni di volontariato (ODV), associazioni culturali è il seguente.

Devo aprire anche una partita IVA o è sufficiente il codice fiscale?

Aprire una partita Iva, se non necessaria, porta l’associazione a dover sottostare ad adempimenti fiscali obbligatori con conseguenti costi gestionali rilevanti soprattutto per le piccole organizzazioni. Non aprirla, se necessaria, invece espone a rischi di accertamento fiscale per evasione di tributi diretti ed indiretti dovuti (IVA o imposte sui redditi) o sanzioni per omissioni di adempimenti contabili obbligatori.

Premesso che il quadro è attualmente complicato dal sovrapporsi del regime transitorio in atto in attesa della piena operatività del Codice del Terzo Settore (CTS), vediamo di fare un po’ di chiarezza che aiuti nella scelta.

La domanda a cui dovranno necessariamente rispondere i promotori della nascente associazione è, che tipo di attività dovrà svolgere? Andranno ben distinte le attività di tipo “non commerciali” da quelle “commerciali” e dovremo entrare nel merito della distinzione delle due tipologie di attività che il nuovo Codice del Terzo Settore cerca di definire.

Le attività non commerciale per gli ETS

Per il Codice del Terzo Settore (CTS) gli Enti del Terzo Settore (ETS) sono:

  1. Organizzazioni di volontariato (ODV);
  2. Associazioni di promozione sociale (APS);
  3. Enti filantropici;
  4. Imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
  5. Reti associative;
  6. Società di mutuo soccorso;
  7. Altri enti del Terzo settore.

Il Codice del Terzo Settore (CTS) ai commi 2, 3 e 4 dell’art. 79 definisce non commerciali le seguenti attività di interesse generale svolte dagli ETS (enti del terzo settore):

  • attività a titolo gratuito;
  • attività dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto conto anche degli apporti economici delle pubbliche amministrazioni, anche sovranazionali o straniere, e al netto dei contributi pubblici non previsti come obbligatori dall’ordinamento. Per costi effettivi non si intendono solo i “costi di diretta imputazione” (vedi articolo 143, comma 1, Dpr 917/86), ma tutti i costi sostenuti dall’ente;
  • attività i cui ricavi non superano di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi.
  • le attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale, se svolte direttamente da un Ets che le svolga come finalità principale e purché tutti gli utili siano interamente reinvestiti nell’attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei risultati, e non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati ai risultati prodotti. Le stesse sono considerate non commerciali anche se affidate ad università ed organismi di ricerca che le svolgono direttamente, secondo modalità e ambiti normativamente stabiliti (vedi Dpr 135/2003);
  • le attività sociali, sanitarie e socio sanitarie, se esercitate da fondazioni ex Ipab, a condizione che gli utili siano interamente reinvestiti nelle suddette attività e che non sia previsto alcun compenso a favore degli amministratori.
  • i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente;
  • i contributi e gli apporti da parte di pubbliche amministrazioni per lo svolgimento, anche convenzionato o in regime di accreditamento delle attività di interesse generale.

Queste le attività NON COMMERCIALI di tipo generale.

Attività non commerciali per ODV e APS

Solo per particolari categorie di ETS sono non commerciali le seguenti attività:

  • Solo per le Organizzazioni di Volontariato (ODV)vengono considerate non commerciali:
    • La cessione di prodotti dagli assistiti e dai volontari, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione;
    • La somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale.
  • Solo per le Associazioni di Promozione sociale (APS), invece, sono considerate non commerciali:
    • le attività istituzionali svolte dietro corrispettivo specifico nei confronti degli associati e dei familiari conviventi degli stessi; ovvero degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività, ovvero nei confronti di enti composti in misura non inferiore al 70% da enti del terzo settore;
    • le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati e a familiari e ai conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, se in attuazione di scopi istituzionali:
    • la somministrazione di alimenti e bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale da bar ed esercizi similari, l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, se strettamente complementari a quelle istituzionali e rivolte agli associati, familiari e conviventi, e non si avvalgono di strumenti pubblicitari/diffusione di informazioni a terzi, diversi dagli associati.

Attività non commerciali per le ASD

E le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD)?

Le ASD non vengono menzionate tra gli ETS tipici previsti dal nuovo Codice del Terzo Settore e vengono catalogati come “Altri enti del terzo settore”. Come tali non avranno obbligo di iscriversi al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, iscrizione che invece sarà obbligatoria per ODV (Organizzazioni di Volontariato) e APS (Associazioni di Promozione Sociale). Per le ASD era già prevista una normativa speciale della legge 398/1991 che verrà abrogata per gli altri enti associativi ma rimarrà valida per le ASD, compreso lo specifico regime fiscale ivi previsto.

Per le ASD, facciamo riferimento alle norme del TUIR per cui sono istituzionali e quindi NON COMMERCIALI le seguenti attività:

  • le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali (art. 148 TUIR, co.3 – c.d. “decommercializzazione speciale”);
  • la vendita di pubblicazioni cedute prevalentemente ad associati (art. 148 TUIR, co.3 )

In una ASD sono considerate SEMPRE ATTIVITA’ COMMERCIALI (art.148, co.4 TUIR):

  • gestione di un bar e ristorante interno (somministrazione di pasti);
  • cessione di beni nuovi prodotti per la rivendita (quali indumenti, attrezzi, ecc. anche se il prezzo di vendita è inferiore o uguale a quello di acquisto);
  • organizzazione di gite e viaggi e soggiorni turistici a titolo oneroso;
  • gestione fiere, esposizioni a carattere commerciale;
  • prestazioni di vitto (alberghiere) e di alloggio;
  • le prestazioni di trasporto e di deposito;
  • pubblicità commerciale;
  • sponsorizzazioni;
  • cessione di beni nuovi prodotti per la vendita;
  • erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore;
  • prestazioni alberghiere e di alloggio;
  • gestione di spacci aziendali e mense.

Non rilevano quindi sotto il profilo fiscale e le scritture contabili non sono obbligatorie per le sole le ATTIVITA’ ISTITUZIONALI e le ATTIVITA’ COMMERCIALI SVOLTE IN MODO OCCASIONALE.

Partita IVA sì o Partita iva no?

Tornando alla domanda iniziale. Quando è necessaria la partita IVA?

La partita IVA non sarà necessaria quando un ETS svolge solo attività NON COMMERCIALI o per le ASD che svolgono esclusivamente attività ISTITUZIONALI.

In tal caso il solo codice fiscale è sufficiente per stipulare contratti così come instaurare rapporti di lavoro con i propri collaboratori ed assolvere gli adempimenti di natura fiscale e previdenziale a cui sono tenute le associazioni anche se titolari di solo codice fiscale. La partita IVA in questi casi è un inutile aggravio di adempimenti fiscali e gestionali.

Sarà invece necessaria nel caso venga svolta non occasionalmente una attività di tipo COMMERCIALE anche non prevalente. È possibile infatti che un ETS svolga attività commerciale NON PREVALENTE e mantenga pertanto l’appellativo di ETS NON COMMERCIALE. Ma per la parte di attività commerciale sarà necessario comunque dotarsi di una Partita Iva ed aderire a regime contabile, solitamente forfettario, previsto per queste specifiche tipologie associative (di cui parleremo più avanti).

Dal punto di vista teorico, l’associazione potrebbe non aprire la partita iva nel caso in cui l’attività di natura commerciale sia occasionale e non implichi una organizzazione complessa: in questo caso si andrà comunque a generare un reddito (c.d. reddito diverso) da assoggettare a tassazione per cui si rende opportuno valutare se sia invece fiscalmente più opportuno aprire la partita iva in regime forfettario.

Regimi fiscali agevolati per associazioni con partita IVA

Nel caso di enti associativi con svolgono attività di tipo commerciale sarà necessaria la partita IVA, sia per aderire a ad un regime fiscale e contabile, sia per l’emissione di fatture riferite all’attività commerciale svolta.

In determinate condizioni sono comunque disponibili dei regimi contabili e/o fiscali che permettono la semplificazione di adempimenti e liquidazione forfettaria dell’imposta (IVA o IRES).

Per le ASD (associazioni sportive dilettantistiche) è ben noto il regime della legge 398/1991 che permette a chi non supera i 400.000 euro di entrate commerciali di liquidare le imposte in misura forfettaria (le imposte dirette ammontano circa all’1% dei ricavi commerciali mentre viene liquidato il 50% dell’iva sulle fatture emesse, salva la maggiore aliquota per la cessione dei diritti radio-televisivi) e di accedere a semplificazioni contabili. Tale regime, con l’entrata in vigore del CTS (Codice del Terzo Settore) titolo X, rimarrà esclusivamente riservato alle ASD che non si vorranno qualificare come ETS.

Le associazioni di promozione sociale e le organizzazioni di volontariato potranno accedere ad un analogo regime agevolato (art. 86 CTS) qualora i ricavi commerciali non superino i 130.000 euro mentre negli altri casi potranno optare, come la generalità degli enti del terzo settore non commerciali, per un regime forfettario ai soli fini delle imposte dirette, dovendo quindi liquidare l’Iva in regime ordinario Iva da Iva (art. 80 CTS).

Conclusioni

Per riassumere si consiglia di aprire una Partita IVA solo se necessaria per la presenza di operazioni di tipo COMMERCIALE realizzate insieme all’attività istituzionale NON COMMERCIALE. Va pertanto ben ponderata la tipologia effettiva di attività svolta valutando ciò rientra nell’una o nell’altra categoria.