I bar nei circoli privati e nelle associazioni

Il bar gestito da un circolo ricreativo è comune in molte realtà associative ma nel tempo ha subito numerosi interventi normativi, non ultima la riforma del terzo settore.

Cerchiamo quindi di fare un riassunto, alla luce dell’attuale normativa e della prossima entrata in vigore della riforma del terzo settore, dal punto di vista fiscale e tributario.

Una premessa, quando si parla di bar di un circolo facciamo riferimento ad un locale (non aperto al pubblico) gestito da una associazione e con ingresso riservato ai soci che esercita un’attività di “somministrazione di alimentari e bevande”.

Diverse dalla somministrazione di alimentari e bevande (bar) invece le attività di spacci, mense aziendali, somministrazioni di pasti che sono sempre e comunque attività commerciali. Nel caso delle mense e somministrazione di pasti si tratta di un’attività di ristorazione, si manipola il cibo, lo si trasforma dal punto di vista organolettico, mentre nei bar ci si limita alla semplice vendita.

Dal punto di vista soggettivo, si può trattare di attività di somministrazioni realizzate da una associazione culturale aventi fini ricreativi ovvero di una associazione sportiva dilettantistica o anche di una associazione di promozione sociale: oltre a queste tre categorie di enti no profit ve ne sono chiaramente altre, ma credo che la maggior parte dei bar associativi ricadano all’interno della suddetta ipotesi.

La normativa attuale

La base di riferimento per la normativa tributaria sono l’articolo 4 del decreto che disciplina l’IVA (DPR n. 633 del 1972) e gli articoli 143 e 148 del Testo Unico per le Imposte sul Reddito (DPR 917/1986, TUIR) relativamente alla disciplina per le imposte dirette.

Il comma 5 dell’articolo 148 del TUIR e il comma 6 dell’articolo 4 del’ DPR IVA, prevedono che solo le Associazioni di Promozione Sociale (APS) riconosciute dal Ministero dell’Interno, nel rispetto di determinate condizioni, possono NON considerare commerciale la gestione del bar riservato ai soci.

La prassi amministrativa si è poi conformata a tale orientamento (Circolare 124/E del 1998) mantenendo altresì un orientamento del 197 (Circolare Min. Interno del 19 febbraio) che stabiliva un numero minimo di 100 soci per le APS riconosciute a livello nazionale.

A livello di amministrazione locale un DPR 235 del 2001 ha semplificato il rilascio autorizzazioni e anche a livello locale viene sancita la differenza tra APS riconosciute dal Ministero per i propri fini o meno.

Non dimentichiamo, infatti, che una APS che intenda gestire un bar riservato ai soci deve presentare al Comune una Denuncia di Inizio Attività (DIA).

Nell’ambito delle condizioni di esercizio del bar occorre rispettare quelle igienico sanitarie, di sicurezza dei locali e di regolarità edilizia degli stessi (ad esempio non possono aprire un bar in un locale classificato come magazzino).

Da ricordare che devono essere presenti altre condizioni come Statuti associativi redatti in maniera tale che vengano rispettate le condizioni per godere delle agevolazioni tributarie, i locali possono essere aperti solo ai soci, agli associati (soci di altre associazioni facenti parte della stessa APS) ovvero agli affiliati (non soci di altre associazioni facenti parte della stessa APS nazionale ma aderenti solo all’ente nazionale direttamente), il locale non deve essere aperto al pubblico ed avere accesso diretto su strada pubblica (classica porta chiusa con indicazione di “accesso riservato ai soci”).

Ricordiamo, infine, che questa attività de-commercializzata non deve essere attività prevalente o unica dell’associazione, ma solo di supporto e complementare ad una più generica attività istituzionale di carattere sociale.

E’ interessante rimarcare come la Corte di Cassazione abbia sottolineato in cosa consista questo carattere di “complementarietà”: la gestione contabile tra entrate e uscite del bar deve essere sostanzialmente in pareggio, ovvero se risulta un avanzo lo stesso deve essere giustificato in occasione dell’approvazione del rendiconto annuale da parte dell’Assemblea dei Soci (e in precedenza del Consiglio Direttivo che ne ha approvato la bozza).

La giustificazione può essere rapportata alla necessità di liquidità per copertura di altre attività istituzionali i cui contributi ai costi, versati dai partecipanti all’attività, risultassero non sufficienti alla copertura dei costi.

Un altro elemento suggerito dalla Cassazione è l’esistenza o meno di una rilevante organizzazione in forma d’impresa preposta alla gestione del bar: ovvero gli investimenti realizzati per l’esercizio dell’attività.

Altro elemento critico è la pubblicità, il cui utilizzo é un rischio notevole di vedere contestata la commercialità della propria attività complessiva.

La riforma del Terzo settore

Con l’entrata in vigore della riforma del Terzo Settore e del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) le APS non avranno più una base normativa nell’articolo 148 del TUIR bensì nell’articolo 85 del Codice del Terzo Settore (D.lgs. 117/2017).

L’articolo 85, comma 4, D.Lgs. 117/2017 riporta letteralmente la previsione sopra ricordata presente nel Tuir aggiungendo, come ulteriore condizione che “per lo svolgimento di tale attività non ci si avvalga di alcuno strumento pubblicitario o comunque di diffusione di informazione a soggetti terzi, diversi dagli associati”.

Altro elemento importante inserito dal nuovo art. 85, potranno mantenere la qualifica soggettiva di associazioni di promozione sociale, anche e per quanto si riferisce l’applicabilità della norma in esame, solo quelle associazioni che abbiano fatto autonoma richiesta di iscrizione al RUNTS, sezione Aps (Associazioni di promozione sociale).

Ne conseguirà che il diritto a godere della agevolazione fiscale della non imponibilità delle somministrazioni di cibi e bevande permarrà esclusivamente, sotto il profilo soggettivo, per quelle associazioni che avranno perfezionato la loro iscrizione al RUNTS.

Nel caso di bar gestiti da ASD (associazioni sportive dilettantistiche), ammesso che tale attività potesse essere ritenute conforme alle finalità istituzionali (vedi sul punto il consolidato parere di senso contrario sempre espresso fino ad oggi dalla Corte di Cassazione), le associazioni sportive, pur se affiliate ad una Federazione riconosciuta come ente assistenziale dal Ministero dell’Interno, continueranno a godere della agevolazioni al fine amministrativo della autorizzazione all’esercizio ma dovranno iscriversi al RUNTS come APS per godere della defiscalizzazione per la somministrazione di cibi e bevande.

Infine, ulteriore limitazione con la nuova normativa del terzo settore, la non commercialità delle prestazioni del bar sociale saranno limitate ai soli soci del circolo o associazione e non potranno più estendersi anche agli “affiliati” cioè, come definiti sopra, gli aderenti all’ente nazionale a cui il circolo è associato. Nel nostro caso gli affiliati sono i tesserati ENDAS nazionali che non sono soci del circolo.

Come sempre siamo a disposizione per chiarimenti, dubbi o applicazioni pratiche delle normative citate.